Karate-Do

Karate-Do: La Storia e l’Evoluzione

Le Origini del Karate a Okinawa

Le radici del Karate risalgono al XIV secolo, quando le isole Ryukyu iniziarono a sviluppare relazioni commerciali con la Cina. Nel 1396, un gruppo di 36 famiglie cinesi si stabilì nel villaggio di Kume a Okinawa, portando con sé conoscenze di commercio, scrittura e cultura, oltre a elementi delle arti marziali cinesi, tra cui il quanfa. Già da prima, però, Okinawa intratteneva relazioni diplomatiche con la Cina: nel 1372 entrò formalmente nel sistema tributario della dinastia Ming, avviando un intenso scambio culturale che influenzò anche le arti marziali. Alcuni membri di questa comunità erano esperti di arti di combattimento e contribuirono alla trasmissione di tecniche di Quanfa (Kung Fu), come colpi di mano aperta, tecniche di spostamento e l’uso della respirazione. Questi principi furono assimilati e rielaborati nel Tode, che si sviluppò combinando influenze cinesi con tradizioni locali di lotta (Tegumi).

Nel 1429, il re Sho-Hashi vietò il possesso di armi sull’isola, portando la popolazione locale a perfezionare tecniche di combattimento a mani nude influenzate dal quanfa cinese. Questo divieto, unito alla successiva occupazione giapponese del 1609 da parte del clan Satsuma, spinse la classe nobile di Okinawa (Pechin) a sviluppare metodi di autodifesa altamente sofisticati, influenzati dallo Jigen-Ryu, il sistema di combattimento con la spada dei samurai Satsuma.

Il Contesto Storico e la Nascita del Karate-Do

Durante l’occupazione del clan Satsuma nel XVII secolo, la proibizione delle armi obbligò gli abitanti a sviluppare ulteriormente tecniche basate sull’uso di mani e piedi. Inoltre, molti strumenti agricoli comuni furono adattati come armi efficaci, dando origine al kobudo. Alcuni nobili di Okinawa si recarono nel feudo Satsuma per apprendere lo Jigen-Ryu, uno stile caratterizzato da attacchi esplosivi e potenti, che influenzò il Karate tradizionale.

Il termine Okinawa-Te è un’espressione moderna che descrive le arti marziali sviluppate a Okinawa. In epoca pre-moderna, queste tecniche erano note come Tode (Mano Cinese), riflettendo la forte influenza del Quanfa. Tuttavia, mentre il Tode enfatizzava movimenti più fluidi e circolari, l’Okinawa-Te iniziò a incorporare un approccio più diretto e pragmatico, adattato alle esigenze locali di autodifesa. Nel tempo, il termine Tode indicò varie forme di combattimento a mani nude, sviluppate in tre scuole principali: Shuri-Te, Tomari-Te e Naha-Te. Solo nel XX secolo, con Funakoshi e altri maestri, il termine ‘Tode’ fu progressivamente sostituito da ‘Karate’ (Mano Vuota). Questo passaggio segnò non solo una riorganizzazione delle tecniche, ma anche un adattamento della disciplina ai principi del Budo giapponese, favorendone la diffusione nelle scuole e nelle università.

  • Shuri-Te: Caratterizzato da movimenti rapidi e leggeri, derivati dallo stile del Shaolin del Nord. Evolutosi nel Shorin-Ryu, comprende vari sottostili come il Matsubayashi-Ryu e il Kobayashi-Ryu.
  • Tomari-Te: Un sistema intermedio che combinava elementi di Shuri-Te e Naha-Te, sviluppando tecniche più fluide e movimenti imprevedibili. È stato influenzato da maestri come Chotoku Kyan e Kosaku Matsumora.
  • Naha-Te: Basato su posizioni più stabili e colpi potenti, con un forte focus sulla respirazione controllata (Ibuki). Ha dato origine al Goju-Ryu, il quale conserva molte influenze dal Kung Fu del Sud, in particolare dal Bai He Quan (Pugilato della Gru Bianca).

Karate di Okinawa e Karate giapponese

Il Karate di Okinawa e quello giapponese si sono evoluti in direzioni diverse.

Karate giapponese: sviluppato a partire dal lavoro di Funakoshi e delle università giapponesi, ha enfatizzato la linearità dei movimenti, posizioni più basse e un approccio più atletico e metodico. Inoltre, si è diffuso in ambito militare e sportivo, portando alla nascita di competizioni di kata e kumite con regolamenti internazionali.

Karate di Okinawa: mantiene un focus sull’autodifesa reale, con tecniche di attacco ai punti vitali (Kyusho) e leve articolari (Tuidi). I kata sono più vari e spesso conservano movimenti circolari e tecniche di resistenza isometrica.

Gichin Funakoshi (1868-1957)

Il Fondatore del Karate Moderno
Gichin Funakoshi è universalmente riconosciuto come il fondatore del Karate moderno e il principale artefice della sua diffusione al di fuori dell’isola di Okinawa. Nel 1922 presentò il Karate in Giappone, contribuendo alla sua diffusione. Per facilitare l’integrazione del Karate nella cultura giapponese, Funakoshi rimosse molti riferimenti cinesi dai kata e adottò una terminologia più vicina al Bushido giapponese. Questo fu un passaggio cruciale per la diffusione del Karate in Giappone e nel mondo. Nato il 10 novembre 1868 a Shuri, Okinawa, crebbe in un’epoca di grandi trasformazioni politiche e culturali in Giappone. Educato secondo i principi della tradizione confuciana, Funakoshi assimilò valori come la moralità, l’etica e il rispetto per gli altri, che avrebbero influenzato profondamente il suo approccio alle arti marziali.

La Formazione e il Viaggio in Giappone
Iniziò il suo percorso nelle arti marziali sotto la guida di maestri leggendari come Anko Itosu e Anko Asato, approfondendo le tecniche tradizionali di Shuri-te, Naha-te e Tomari-te. Con il tempo, lavorò per unire questi stili in un sistema coeso e accessibile a un pubblico più ampio.

Nel 1922, su invito del Ministero dell’Educazione giapponese, Funakoshi tenne una dimostrazione pubblica a Tokyo, evento che segnò l’inizio della diffusione del Karate in Giappone. La sua dimostrazione catturò l’attenzione di accademici e appassionati, portandolo a stabilirsi a Tokyo per insegnare e promuovere il Karate rendendolo accessibile a praticanti di ogni età.

Negli anni ’20, il Giappone stava cercando di unificare e modernizzare le proprie arti marziali, favorendo la creazione di discipline adatte all’addestramento scolastico e militare. Funakoshi adattò il Karate in questa direzione, standardizzando le tecniche e riducendo i riferimenti all’eredità cinese. Il Dai Nippon Butokukai (organizzazione governativa giapponese per le arti marziali) giocò un ruolo cruciale nella diffusione del Karate in Giappone. Nel 1933 riconobbe ufficialmente il Karate come arte marziale giapponese e ne favorì l’integrazione nei programmi scolastici e militari. Durante questo processo, furono introdotti elementi tipici del Budo giapponese, come i gradi (kyu/dan) e il concetto di Dojo Kun, contribuendo a rendere il Karate più conforme alle arti marziali nipponiche.

La Filosofia del Karate-Do

Funakoshi non considerava il Karate una semplice disciplina fisica, ma una via per il miglioramento morale e spirituale, nota come Karate-Do (“la via della mano vuota”). Secondo lui, lo scopo ultimo del Karate non era vincere un combattimento, ma perfezionare il carattere e raggiungere l’autocontrollo.

Nel suo celebre libro Karate-Do Kyohan (Il Manuale del Karate-Do), Funakoshi esponeva questi principi e li sintetizzava nel Dojo Kun, un codice morale destinato a guidare i praticanti nel loro percorso. Insisteva sull’importanza della pratica dei kata come mezzo per sviluppare disciplina, consapevolezza e autocontrollo, piuttosto che enfatizzare la competizione.

La Fondazione dello Stile Shotokan

Funakoshi insegnava un Karate basato sulle tradizioni di Shuri-Te e Tomari-Te, senza definirlo uno ‘stile’ separato. Tuttavia, con la fondazione della Japan Karate Association (JKA) nel 1949, il metodo di Funakoshi venne formalizzato in uno stile sistematizzato, che assunse gradualmente il nome di Shotokan. Masatoshi Nakayama, primo capo istruttore della JKA, strutturò un programma di allenamento basato su principi scientifici, biomeccanica e didattica moderna. Standardizzò kihon, kata e kumite, sviluppando metodi di allenamento efficaci che resero lo Shotokan il primo stile di Karate ad avere una diffusione globale. Il nome Shotokan deriva dallo pseudonimo letterario “Shoto”, usato da Funakoshi per firmare le sue poesie. Il dojo dove insegnava divenne noto come Shotokan (Casa di Shoto) e successivamente il termine identificò lo stile caratterizzato da posizioni più ampie, tecniche dirette e una metodologia più accademica.

Il simbolo della tigre, associato allo Shotokan, fu disegnato dall’artista Hoan Kosugi, amico e studente di Funakoshi. La tigre rappresenta la forza, il potere e la tenacia sviluppati attraverso l’allenamento nel Karate di Funakoshi, oltre all’atteggiamento tradizionale cinese secondo cui la tigre non dorme mai ma mantiene una costante e acuta vigilanza. Si può ipotizzare che la tigre disegnata all’interno del cerchio simboleggi che il suo potere, come quello del Karate Shotokan, è contenuto e non dovrebbe mai essere utilizzato indiscriminatamente, ma solo quando assolutamente necessario.

Grazie alla sua visione innovativa, Funakoshi integrò il Karate nelle scuole e nelle università giapponesi, rendendolo una disciplina accessibile a chiunque desiderasse praticarla, indipendentemente dall’età o dal livello di preparazione fisica.

L’Eredità di Gichin Funakoshi

Alla sua morte, avvenuta il 26 aprile 1957, Gichin Funakoshi lasciò un’eredità incalcolabile. Oggi il Karate è una disciplina globale con molte sfaccettature:

  • Karate Tradizionale: conserva le radici okinawensi e si focalizza sull’autodifesa, sulla biomeccanica naturale del corpo e sulla filosofia marziale. Maestri come Chojun Miyagi (fondatore del Goju-Ryu) e Kenwa Mabuni (fondatore dello Shito-Ryu) giocarono un ruolo cruciale nel preservare il legame con l’antica pratica del Karate di Okinawa, mantenendo un approccio più vicino ai suoi principi originari, in contrasto con la crescente enfasi sportiva introdotta in Giappone.
  • Karate Sportivo: si è evoluto a partire dagli anni ’50 con la Japan Karate Association e altre federazioni internazionali. Le competizioni di kata e kumite, basate su regolamenti codificati, hanno portato il Karate fino alle Olimpiadi di Tokyo 2021, enfatizzando velocità, tecnica e strategia piuttosto che l’autodifesa tradizionale.
  • Karate Moderno: include interpretazioni per l’autodifesa (Goshin-Jutsu) e applicazioni in forze dell’ordine e sicurezza. La sua filosofia continua a ispirare milioni di praticanti, dimostrando che il Karate è molto più di un’arte marziale: è un cammino di crescita personale, equilibrio e rispetto.

Attraverso il suo insegnamento e le sue opere, come l’autobiografia Karate-Do: My Way of Life, Gichin Funakoshi trasmise una filosofia che ancora oggi ispira generazioni di praticanti. Più che un maestro di Karate, fu un innovatore e un filosofo che trasformò un’antica arte di combattimento in un cammino di crescita personale e universale.

Il Karate come Arte, non Sport

Funakoshi era un uomo di grande umiltà, convinto che il Karate dovesse essere un cammino di miglioramento personale piuttosto che un mezzo per vincere combattimenti o competizioni. La sua filosofia sottolineava che l’apprendimento dei kata fosse fondamentale, e che il vero maestro di Karate fosse colui che non si vantava dei suoi successi, ma continuava a perfezionarsi silenziosamente.

Nel suo insegnamento, Funakoshi enfatizzava la pratica dei kata come mezzo per sviluppare il controllo di sé e la consapevolezza. La sua visione del Karate come arte di vita continua a vivere attraverso le sue opere e gli insegnamenti che ha lasciato in eredità.

L’Essenza del Karate-Do

Il termine Karate-Do significa “Via della Mano Vuota” e rappresenta molto più di una semplice arte marziale: è un percorso di crescita personale e spirituale. Tuttavia, originariamente il Karate era chiamato Tode (唐手, “Mano Cinese”), in riferimento alla dinastia Tang. Nel 1936, su pressione del governo giapponese e per favorire l’accettazione del Karate, i maestri di Okinawa decisero di cambiare il kanji 唐 (Tang, Cina) con 空 (Vuoto), trasformando il significato in ‘Mano Vuota’. Questo rifletteva un allineamento ideologico con il nazionalismo giapponese e un distacco dalle origini cinesi del Karate. Il termine Karate si compone di due caratteri: kara (空), che significa “vuoto”, e te (手), che significa “mano”. La parola Do (道) aggiunge il significato di “via” o “percorso”.

Il concetto di kara riflette diversi significati profondi:

  1. Vuoto fisico: La capacità di difendersi a mani nude, senza armi, dimostrando l’efficacia del corpo umano come strumento di autodifesa.
  2. Vuoto mentale: Liberarsi da pensieri egoistici o negativi per raggiungere la piena comprensione della disciplina e affrontare la vita con chiarezza e serenità.
  3. Vuoto universale: Il principio filosofico che “la forma è vuoto, e il vuoto è forma”, un’idea che collega il Karate ad altre arti marziali giapponesi e a una visione profonda dell’esistenza.

Attraverso questi principi, il Karate-Do non è solo una pratica fisica, ma una via per sviluppare il carattere, l’autocontrollo e il rispetto verso gli altri, promuovendo un equilibrio tra mente, corpo e spirito.

Dojo: Il Luogo Sacro della Via Marziale

Cos’è il Dojo?

Il dojo (道場) è un termine giapponese che significa letteralmente “luogo (jō) dove si segue la via (dō)”, rappresentando il centro della pratica delle arti marziali. Questo termine, originariamente utilizzato nella tradizione buddhista cinese, ha evoluto il suo significato nel contesto delle arti marziali giapponesi, dove il dojo è diventato molto di più di un semplice spazio per l’allenamento.

Origini del termine e la sua Evoluzione

Inizialmente, il termine dojo indicava il luogo in cui il Buddha ottenne il risveglio, all’interno di un tempio buddhista. Nel tempo, il termine è stato adottato dal mondo militare e, con l’influenza del Bujutsu e della filosofia Zen durante il periodo Tokugawa, è divenuto un concetto strettamente legato alla pratica delle arti marziali.

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Il Dojo come luogo di meditazione e crescita personale

Nel contesto delle arti marziali, il dojo non è solo il luogo dove si allenano le tecniche fisiche, ma è anche un simbolo della profondità del rapporto tra il praticante e l’arte marziale. Questo concetto si radica profondamente nella cultura buddhista, che vede il dojo come un ambiente di meditazione, concentrazione e ricerca di equilibrio tra corpo e mente.

Storia e tradizioni dei Dojo

I dojo tradizionali erano spesso piccoli locali situati vicino a templi o castelli, per proteggere i segreti delle tecniche marziali. Con il passare del tempo, il dojo è diventato un luogo di grande rispetto e un “secondo rifugio” per praticanti e maestri. Decorato con calligrafie, oggetti artistici e simboli di virtù, il dojo divenne una vera e propria scuola spirituale, dedicata a valori elevati e alla continua crescita.

Il ruolo del Sensei e dei Sempai

Nel dojo, il sensei (maestro) rappresenta il vertice della scuola, stabilendo le direttive per il suo buon funzionamento. Accanto a lui ci sono altri insegnanti e sempai, i praticanti di grado superiore, che hanno un ruolo fondamentale nel guidare i nuovi allievi. Il comportamento quotidiano dei sempai è un esempio per gli altri, e un loro comportamento inadeguato potrebbe danneggiare l’intera scuola.

Il Dojo come Via verso l’equilibrio psicofisico

In Occidente, il termine dojo viene talvolta tradotto come “palestra”, ma il suo significato profondo è molto più di un semplice luogo di allenamento. Il dojo è uno spazio dove il praticante può raggiungere l’armonia tra mente (zen) e corpo (ken), perseguendo la perfezione in ogni aspetto della propria vita.

KANAZAWA Hirokazu Soke 10° Dan (1931 – 2019)

Una Vita Dedicata al Karate-Do

KANAZAWA Hirokazu Soke, 10° Dan della Shotokan Karate-Do International Federation (SKIF), è stato una delle figure più importanti e rispettate nella storia del karate tradizionale. Nato nel 1931 nella provincia di Iwate, Giappone, Kanazawa ha dedicato la sua vita alla diffusione e allo sviluppo del Karate-Do, diventando una leggenda vivente nel mondo delle arti marziali.

Fin dai suoi anni universitari presso la Takushoku University, Kanazawa si è distinto come allievo eccezionale, entrando nel celebre Karate Club fondato da Gichin Funakoshi, il padre del moderno Shotokan Karate-Do. La sua formazione includeva anche studi sotto la guida di altri maestri di spicco come Matsatoshi Nakayama, capo istruttore della Japan Karate Association (JKA).

Successi Agonistici

Nel 1957, Kanazawa ottenne il primo posto nel Kumite durante i Campionati Giapponesi, nonostante stesse gareggiando con un polso rotto, dimostrando una determinazione straordinaria. Nel 1958 riuscì a ripetersi, vincendo sia nel Kumite che nella Kata, diventando così il primo karateka a ottenere entrambi i titoli nello stesso anno.

La Carriera Internazionale e la Fondazione della SKIF

Dopo aver completato gli studi nel 1956, Kanazawa entrò come istruttore nella JKA. La sua carriera di insegnante professionista ebbe inizio nel 1961, quando venne inviato come capo istruttore alle Hawaii con il grado di 5° Dan. Successivamente, si trasferì in Europa nel 1962 e nel 1966 divenne capo istruttore nel Regno Unito, ricevendo il 6° Dan. Nel 1967 fu nominato capo istruttore per tutta l’Europa e, nel 1971, gli fu conferito il 7° Dan, assumendo il ruolo di capo istruttore per tutti gli insegnanti della JKA all’estero.

Nel 1977, tuttavia, Kanazawa si separò dalla JKA a causa di divergenze concettuali, decidendo di perseguire il suo sogno di promuovere un Karate-Do basato su principi più aperti e inclusivi. Nel 1978 fondò la Shotokan Karate-Do International Federation (SKIF), che sotto la sua guida crebbe rapidamente fino a diventare la più grande associazione di Shotokan Karate al mondo, con milioni di membri in oltre 130 paesi.

Riconoscimenti e Contributi

Kanazawa ricevette numerosi riconoscimenti per il suo contributo al Karate-Do: l’8° Dan nel 1978, il 9° Dan nel 1988 e il prestigioso 10° Dan nel 2000. Oltre allo Shotokan Karate, Kanazawa era esperto nell’uso delle armi tradizionali del Kobudo e praticava Tai Chi da oltre trent’anni, dimostrando una conoscenza approfondita delle arti marziali e dei loro principi filosofici.

Eredità e Ricordo

Kanazawa Soke ha dedicato la sua vita a diffondere i valori e gli insegnamenti del Karate-Do, ispirando generazioni di praticanti con la sua visione, il suo carisma e la sua dedizione. Oltre a essere autore di numerosi libri e video didattici, ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo del karate tradizionale.

Il 8 dicembre 2019, Kanazawa Soke è venuto a mancare, ma la sua eredità continua a vivere attraverso la SKIF e i suoi innumerevoli allievi sparsi in tutto il mondo. Kanazawa rimane una figura iconica, il cui esempio incarna i valori del Karate-Do: rispetto, disciplina, umiltà e continua ricerca della perfezione.

Dojo Kun

Disciplina del Dojo

Il Dojo Kun, un codice morale destinato ai praticanti, fu formalizzato dalla Japan Karate Association sotto la guida di Masatoshi Nakayama. Sebbene i principi etici del Karate risalgano a maestri come Sakugawa Shungo e Anko Itosu, la JKA ne standardizzò la formula attuale per promuovere un’etica comune tra i praticanti di Shotokan Karate

L’essenza del Dojo Kun originale è stata preservata in tutti gli stili fino ad oggi. Si compone di cinque principi guida che determinano l’intero sviluppo spirituale di un praticante nel suo cammino:

  1. Hitotsu, Jinkaku Kansei ni Tsutomuru Koto
    (Perfeziona il carattere e il proprio io)
  2. Hitotsu, Makoto no Michi o Mamoru Koto
    (Preserva il cammino della verità)
  3. Hitotsu, Doryoku no Seishin o Yashinau Koto
    (Coltiva e rafforza la volontà di impegnarti)
  4. Hitotsu, Reigi o Omonzuru Koto
    (Rispetta i principi tradizionali)
  5. Hitotsu, Kekki no Yu o Imashirmuru Koto
    (Evita ogni forma di violenza)

Di seguito ascolterete il Dojo Kun narrato da Hirokazu Kanazawa Soke, fondatore e Presidente della Shotokan Karatedo International Federation (SKIF).

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